Tutti i giornali hanno riportato con le proprie testate la scomparsa dell’illustre giornalista Sergio Zavoli. Se ne è andato a 96 anni. Era molto affezionato alla sua Romagna e alla sua gente che stimava con notevole affetto e la raggiungeva appena poteva. Ferrara era nei suoi ricordi più cari e vi contava molti amici.
Un maestro che ha fatto del giornalismo una missione di impegno costruttivo nei confronti della società civile. A Zavoli mi presentarono degli amici comuni e instaurammo un’amicizia sincera dai tempi del “Processo alla tappa” e alla “Notte della Repubblica”, dalle inchieste sulle stragi alla presidenza Rai fino al Senato.
Sempre cordiale e in ascolto, in una intervista affermò che «la Tv può cambiare in meglio il mondo» e che quindi occorre far sì che essa «non si limiti solo a rappresentarlo o a distorcere una delle molte facce». C’è Sergio Zavoli in questo pensiero, che è al tempo stesso ricerca di conoscenza e impegno verso la Comunità, il suo secolo, le sue formidabili interviste. Al punto che i cinquant’anni del suo lavoro alla Rai dal 1947, quando l’inseparabile amico Federico Fellini nei giorni del Cataldo Greco con Sergio Zavoli Liceo Classico Giulio Cesare di Rimini, esordisce a 24 anni con le prime radiocronache sportive, fino agli anni Novanta, non sono solo un racconto personale, ma un capitolo inarrestabile della storia italiana. Zavoli, cresciuto a Rimini era nato a Ravenna il 21 ottobre 1923 e la sua Romagna gentile, educata all’eleganza era rimasta sempre nel suo cuore e sempre legatissimo con i suoi valori che lo distinguevano.
La sua voce piana, ben articolata, quasi suadente, il pubblico se ne accorse subito soprattutto allorché nel 1962, Zavoli passa alla televisione e inventa il suo primo straordinario programma, il Processo alla tappa che va in diretta su un palco improvvisato alla fine di ogni frazione del Giro d’Italia: commenti, interviste con i protagonisti, sguardi del percorso. Sport ma non solo. «Il mondo non è fatto di primi, ma di gente che arriva fuori tempo sputando sangue». “Un socialista di Dio”. Ha indagato sui misteri d’Italia come su quelli dell’eternità del dolore, dell’uomo. Era un galantuomo: voleva capire la realtà, dare risposte alle domande di tutti. Ciao Sergio!