L’AUTORE DE «IL NOME DELLA ROSA» CON «IL CIMITERO DI PRAGA» RIVELA CON UN GIALLO OTTOCENTESCO, TRA COMPLOTTI IMMAGINATI E STORIA VERA IL MALESSERE ESISTENZIALE.
Da Milano
Il Professore Umberto Eco ha passioni insospettate: s’introduce su Wikipedia e ne corregge le voci incomplete, legge Dylan Dog e ama d’amor vero il romanzo popolare dell’Ottocento.
È per questo che Il cimitero di Praga, l’ultimo libro del Professore ambientato appunto – nell’Ottocento (uscito a fine ottobre dell’anno scorso e già stravenduto), è stato etichettato come dumasiano, da Alexandre Dumas, quello de I tre moschettieri e Il conte di Montecristo. Altri lo hanno definito «inventario della storia del falso», «romanzo sul potere» e, in verità, persino «noioso, farraginoso…ambiguamente antisemita», sebbene siano già 40 gli editori stranieri in fila per pubblicarlo, compreso in lingua hindi. L’avvio è presto detto: il capitano Simone Simonini è ingaggiato dai servizi segreti di mezza Europa per fabbricare documenti, intorpidire notizie. Insomma, deviare il corso della storia.
Professore, di cosa parla «Il cimitero di Praga»?
«È la storia di un falsario che partecipa a molti falsi storici. Immagino che sia lui l’autore del Protocollo dei Savi anziani di Sion, il testo ispiratore di Hitler e del Genocidio. Il mio Simonini è l’unico personaggio inventato, si muove in un’Europa dove tutto il resto è vero. È la storia di un mascalzone dell’Ottocento. Qualcuno poi ha detto che somiglia a dei mascalzoni di oggi. E si sa, la madre dei mascalzoni è sempre incinta».
C’è una morale?
«È una morale il libro stesso. È la rappresentazione del male, anche là dove non si pensa vi sia. “Non c’è l’eroe positivo” mi hanno fatto notare. No, non c’è. Voglio insegnare ai bambini che il mondo è un posto schifoso: questa è anch’essa una morale. È un libro disperato? Sì, in un’epoca in cui i presidenti del consiglio sono ottimisti e raccontano barzellette, io scrivo un libro disperato».
Simonini odia gli ebrei, avversa massoni e disprezza gesuiti. È l’odio il motore fondante dell’animo umano?
«Non bisogna mai attribuire all’autore quel che si dice nel suo romanzo. Sennò Manzoni la penserebbe come l’Innominato e ciò non è vero. Ma quel che dice un personaggio del mio libro è una grande verità: per riuscire ad aggregare una massa intorno a un’identità e tenerla buona, bisogna darle un nemico da odiare. Io sono stato educato durante il fascismo a odiare un sacco di gente che non erano gli italiani. Erano, per esempio, gli inglesi che facevano cinque pasti al giorno e non mi hanno lasciato il tempo di accorgermi che facevo la colazione, la mela a scuola, il pranzo di mezzogiorno, la merenda, la cena. Anch’io mangiavo cinque volte!».
C’è chi ha parlato di tracce di antisemitismo nel libro. Il lettore le troverà oppure è una critica malcentrata?
«È una critica malcentrata. La condanna di queste idee e di come siano esagerate e assurde è così evidente nel libro che ci vuole un cogl… per prenderle sul serio. Però, non escludo che al mondo ci siano molti cogl…»
Si dice: Eco è difficile. Un lettore che compra il libro all’autogrill e ama le cose semplici come un semplice giornale, perché dovrebbe comprare «Il cimitero di Praga»?
«Non vedo perché questo lettore dovrebbe spendere 19 euro, potrebbe usarli per fare molte altre interessantissime cose».
Davvero la pensa così? È un bel giallo, invece. Affascinante…
«L’avete detto voi, però. Io no».